Licenziamento illegittimo se il datore di lavoro utilizza sistemi informatici di controllo a distanza

Pronunciandosi per la prima volta sul tema, la S.C. ha affermato che i programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degli accessi ad Internet dei dipendenti sono necessariamente apparecchiature di controllo, soggette alle condizioni di cui all’art. 4 dello Statuto dei lavoratori. Con Sentenza depositata il 23 febbraio 2010 la Suprema Corte ha avuto modo di esaminare il caso di una dipendente che è stata licenziata per aver navigato su siti web non pertinenti all’attività lavorativa. Il datore di lavoro aveva effettuato in due momenti diversi dei controlli mediante l’utilizzo di un software apposito (Super Scout) dai quali è emersa una condotta difforme dal Regolamento aziendale che discpilina l’utilizzo di Internet e della posta elettronica. Rimandando alla Sentenza (n° 4375 del 23.2.2010 Sez. lavoro) per l’esposizione completa dei fatti, ciò che merita attenzione in questa sede è il costume diffuso in ambito aziendale privato (ma anche nel settore pubblico) di impiegare strumenti per il monitoraggio della rete ritenendoli legittimi alla stregua dei cd. “controlli difensivi”. In verità, come andiamo dicendo da anni, siamo nell’ambito dell’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori e ciò comporta necessariamente il rispetto dei presupposti ivi previsti in tema di utilizzabilità di sistemi di controllo a distanza, ossia particolari esigenze organizzative, produttive o di sicurezza e comunque previo accordo con le rappresentanze sindacali oppure l’autorizzazione del competente Ispettorato provinciale del Lavoro.

La Cassazione, confermando quanto affermato dalla Corte di Appello, ha sostenuto che “i programmi informatici che consentono il monitoraggio della posta elettronica e degi accessi internet sono necessariamente apparecchiature di controllo nel momento in cui, in ragione delle loro caratteristiche, consentono al datore di lavoro di controllare a distanza e in via continuativa durante la prestazione, l’attività lavorativa e se la stessa sia svolta in termini di diligenza e corretto adempimento (nel caso de quo, delle direttive aziendali)“.

La stessa Corte di Appello aveva avuto modo di evidenziare che “ciò è evidente laddove nella lettera di licenziamento i fatti accertati mediante il software sono utilizzati per contestare alla lavoratrice la violazione dell’obbligo di diligenza sub specie di aver utilizzato tempo lavorativo per scopi personali (e non si motiva invece su una particolare pericolosità dell’attività di collegamento in rete rispetto all’esigenza di protezione del patrimonio aziendale)“.

In quest’ultima frase ritengo risieda la chiave di lettura della Sentenza in esame.

Infine va rilevato che i fatti contestati risalgono a diversi anni fa, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 196/2003 e prima dei numerosi provvedimenti del Garante Privacy, in particolare quello sull’utilizzo di Internet e Posta elettronica nei luoghi di lavoro (doc. web n° 1387522) e sugli Amministratori di Sistema (doc. web n° 1577499).

Viene da chiedersi se attualmente le politiche di sicurezza aziendali siano rispettose della dignità e della riservatezza dei lavoratori, ma soprattutto se questi ultimi ne siano al corrente.

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